Cammino Lauretano
Si possono indicare i seguenti momenti e gesti o " devozioni ", frequenti nei pellegrini Loretani dei tempi passati:
Le abluzioni alle fontane
I pellegrini giungevano al Loreto da tre diverse direzioni: da nord, per la via che da Ancona, attraverso Camerano e San rocchetto, conduceva a villa musone e, lungo la " costa di Ancona ", al santuario; oppure Si giungeva attraverso Sirolo, Montorsoli, le casette; dal sud, sulla via che da Monte Santo-oggi Potenza Picena-, lungo la contrada del Carpine e la discesa di Montereale, portava in piazza della madonna; oppure vi si poteva arrivare dalla strada marina, lungo porto Recanati e le casette; da ovest, con frequente provenienza da Roma e da Assisi, vi si arrivava attraverso Recanati, in tempi più remoti per la via dell'impaccio, successivamente Per la Valle cerro e, dalla fine del secolo 16º, attraverso il tracciato attuale.
Uno dei primi gesti del pellegrino, oscillante tra l'esigenza igienica e la devozione, era quello delle abluzioni nelle fontane vicino al santuario.
Una prima detersione, volta a eliminare il fango, la polvere e il sudiciume, aveva luogo alle fontane periferiche, e cioè: alla " fonte della croce ", sulla costa di Ancona, per quelli che provenivano dal nord; alla " fonte della Buffolareccia " per quelli provenienti da nord, lungo Montorso, E da sud, lungo la strada marina; alla " fonte del Carpine " per quelli che, da sud, giungevano da Monte Santo o, da ovest, da Recanati.
Il percorso da Monte Santo a Loreto era detto un tempo " via dei credo ", perché i pellegrini, prima di raggiungere la " fonte del Carpine ", dovevano recitare 33 credo e, dopo la detersione, recitavano o cantavano le litanie Lauretane.
Anche la " fontanella delle scalette " e la " fontana dei galli ", situate nel centro urbano, erano usate talvolta allo stesso scopo.
Nella fontana della madonna, nella piazza del santuario, i pellegrini spesso ripetevano le abluzioni, che qui potevano anche assumere il significato di un rito, fatte com'erano nell'intento di una detersione fisica che diventava segno di una purificazione spirituale.
Lo notava implicitamente il ferrante per i ciociari, quando scriveva che essi, nella fontana della madonna, si lavavano i piedi per poter entrare, così detersi e scalzi, nel Santuario.
Ingresso in basilica
Già nelle 1559, come testimonia il Riviera, i pellegrini illirici entravano in basilica ginocchioni, imitati successivamente da altri gruppi. L'uso era ancora diffuso nel secolo XIX-XX, come si è rilevato per i ciociari, i regnicoli e i "cecchi".
Esistono stampe e incisioni raffiguranti i pellegrini che procedono in ginocchio dalla fontana della madonna, lungo il restante tratto della piazza e sulle gradinate della basilica, verso l'interno della stessa. Una delle più antiche incisioni del genere, risalente al secolo XVIII, fu eseguita da Ch.Calaisse su disegno di Ch.De Vase (mm 120X190).
Altri due disegni che illustrano questo rito sono stati pubblicati dal Carrata nel 1893. Il gesto stava a indicare il sommo rispetto per la santità del luogo, che conserva la casa nazeratana della Madonna: un lembo di terra santa sul suolo di Loreto.
Lo stesso sentimento di riverenza spingeva i ciociari a entrare scalzi nel tempio dell'incarnazione. Vengono in mente le parole che si leggono in esodo, 3,5, rivolte da Dio a Mosé: " togliti i sandali dai piedi, perché il luogo dove tu stai Terrasanta! ".
Non sempre però lo stuolo dei Pellegrini faceva l'ingresso in basilica ginocchioni o carponi. Spesso dalla piazza della Madonna procedeva lentamente e ordinatamente con gli stendardi delle antiche confraternite sollevati e spiegati.
Il giro in ginocchio attorno alla Santa casa
È forse il gesto più caratteristico dei pellegrini al santuario di Loreto, sembra che la prima notizia risalga all'indomani della messa in opera del rivestimento marmoreo ( 15 34 ), secondo una nota d'archivio relativa al confessori. Vi si dice che il penitenziere Como comunichista ogni sabato era tenuto a fare un giro intorno alla Santa casa insieme al fedeli e al Pellegrini, recitando le litanie, dettando una breve riflessione e, infine, impartendo la benedizione con la croce.
Da allora sfogliasti Pellegrini, fino ai giorni nostri, hanno ripetuto il pio esercizio che aveva e ha carattere penitenziale.
Anche altri personaggi si sono umiliati a fare un gesto del genere. Il gesuita P. Luc Antonio forti, in un manoscritto irreperibile, citato dal Martorelli, riferisce che Maria Casimira, regina di Polonia, pellegrina a Loreto nel 1698 deposte le vestito regali, " non arrossì " di fare un giro intorno al sacello con le ginocchia.
Non sono mancati però nel passato critiche e accenti ironici verso questa pia pratica. Il Martorelli cita, in proposito, il Misson, " che si burlava di quella compagnia de pellegrini che ginocchioni giravano intorno alla Santa cappella trotterellando ( come per ischerno ei scrisse) sopra le loro ginocchia ".
Nel passato, come ancora oggi, i pellegrini, nel fare quella disagevole percorso con le ginocchia, recitavano anche il rosario. Lo aveva notato già Johan Gaspar Goethe -Il padre del celebre Wolfang, autore del Faust-nella sua visita a Loreto del 1740. Scrive:
" in simile posizione [=ginocchioni] una cinquantina di uomini E di donne, vecchi e giovani, trottano intorno incontrandosi, dicendo la corona e le loro preghiere ".
Illustre viaggiatore, però, sottolinea un curioso costume connesso con questo gesto penitenziale: i fanciulli di Loreto si prestavano volentieri, dietro pagamento, a percorrere in ginocchio i famosi soggetti al posto dei pellegrini. Narra Johann Gaspar:
" Venne da me un fanciullo povero, offrendosi di fare in mio nome il giro intorno alla Santa casa in ginocchio, per qualche carità, e tante volte che volevo. Fummo d'accordo, ma non fidandomi della sua onestà, lo seguii e ed ecco, mentre si voltò di canto e credendomi fuori dalla vista, si drizzò in piedi, volendo così continuare la via con miglior agio: lo chiamai gridando di ricordarsi del nostro patto, e subito si gittó per terra, poi replicò ancora alcune volte il giro, e alla fine... Fu ricompensato ".
Insomma i Loretanianche i più giovani, avevano un felice intuito nel soddisfare le esigenze del pellegrino, anche le più intime, purché ne potessero trarre qualche profitto!
È da dire anche, però, che i giovanetti di Loreto avevano la pia abitudine di fare il giro attorno alla Santa casa ogni sera. Vincenzo Murri, in una pubblicazione delle 18 01, trascrisse una " canzonetta spirituale " cantata dai ragazzi di Loreto " durante il giro che si faceva tutte le sere intorno alla Santa casa ". È costituita da 25 strofe, la prima delle quali, intonata dal clero, dice:
Brilla l'amabil Iride,
Maria nostra Regina,
Avanti a cui s'inchina
Il ciel, la terra e il Mar.
Secondo un'altra nota d'archivio, Clemente XVIII, il 1 ottobre del 1766 concesse lindo urgenza di sette anni e sette quarantene " a chi girava in ginocchio, nella parte esterna, intorno alla Santa casa "
I pellegrini compivano in genere questo pio esercizio per due ragioni: o per esprimere la propria riconoscenza alla vergine Lauretana in seguito a una grazia implorata e ottenuta, oppure per intercedere da lei una speciale protezione in casi di difficoltà fisiche o morali.
Si leggono anche grazie ricevute durante lo svolgimento di questo atto penitenziale. Un anziano sanmarinese assicurava, non molti anni fa , Di essere stato liberato immediatamente da una grossa ernia al termine del terzo giro.
Certo è che quelli sui pacchetti paralleli, " a guisa di binario d'una ferrovia " -direbbe lo Stoppani- stanno a testimoniare una tradizione di religiosità popolare singolare e commovente.
La rivista del santuario la vergine di Loreto, nel 18 95, scriveva:
" Chiunque è stato Loreto conosci quei succhi profondi scavati nel gradino di duro marmo che circonda l'esterno della Santa casa, sono dessi prodotti appunto dai pellegrini che camminano attorno al sacro abitacolo in quella guisa. Tanto può in quelle anime serventi la venerazione per questo santuario dei santuari e l'amore verso quella santa famiglia che ha santificato di sua presenza".
Il bacio dei fregi e delle immagini
Il Pisani-Dossi osservava nel 1895 che i " regnicoli ", facendo il giro con le ginocchia intorno al rivestimento della Santa casa, "baciavano i fregi e le figure dell'ornamento in marmo che la decorano".
Non solo i "regnicoli", però, bensì moltissimi altri pellegrini, nel loro giro attorno al sacello, con i baci e con lo strofinino delle mani, hanno finito per consumare alcune ornamentazioni del monumento marmoreo.
I baci erano e sono rivolti soprattutto alle immagini sacre scolpite sulle porte di bronzo della Santa casa. Ad alcune di esse si attribuivano addirittura poteri prodigiosi, come annota ancora il Pisani-Dossi.
Fra tutte era oggetto privilegiato di ripetuti baci la figura scolpita nella porta dell'angolo nord-est, rappresentante Cristo flagellato alla colonna, il cui volto è stato letteralmente mangiato dai baci.
Lo stesso fenomeno si riscontra per l'immagine della Vergine, in ginocchio, nella scena dell'annunciazione, raffigurata nella porta ovest del lato sud.
Rievoca il devoto gesto anche il Rotelli con questi ben " costrutti " endecasillabi:
Toccano lievi gli scolpiti muri
Di alati fregi e palpitanti state
E nel sacrario baciano le pietre.
La calca in Santa Casa
I fedeli consideravano e considerano la Santa casa la meta vera del loro pellegrinaggio. Nelle maggiori solennità vi si accalcano in modo tumultuoso e di compiono gesti devoti.
Soprattutto nelle festività primaverili, estive e autunnali i pellegrini affollavano e affollano il piccolo vano della Santa casa. Da tempi remoti il flusso viene regolato dai custodi della stessa. Il tortellini, dopo aver ricordato un concorso eccezionale di 200.000 pellegrini nei giorni 7e 8 settembre, forse delle 1594, annota che i custodi furono costretti, in quell'occasione, a circondare la Santa casa, nella parte interna, con appositi cancelli, al fine di controllare il flusso ed evitare " il tumulto ".
Nel secolo scorso, dopo l'annessione delle Marche al regno d'Italia, stando a un gustoso racconto dello Stoppani, nei giorni di grande concorso, venivano incaricati a regolare il flusso anche due soldati piemontesi, posti l'uno sulla porta di ingresso e l'altro su quella di uscita.
Lo Stoppani assistette alla stiparsi dei pellegrini in Santa casa L8 settembre 18 65, giorno che tradizionalmente registra un grande concorso di popolo. Scrive:
" Quando fui alla porticina d'ingresso di quella devota stanza, la vidi occupata da una folla di pellegrini così stivata, così tutta d'un pezzo, che ce n' era ben due volte quella capacità. Una folla molto maggiore si teneva stretta davanti alla porticina, a guisa di quegli sciami d'api, che si vengono prendere appiccicati dalla bocca dell'alveare quando attendono, per emigrare, il cenno della giovine regina "
L'autore descrive l'imbarazzo di uno dei due soldati piemontesi, nel momento delle ricambio dei pellegrini, momento che solo chi è esperto sa pilotare a dovere. Ecco la piacevole descrizione dello Stoppani, che è anche una bella pagina di costume, la quale, oltretutto, evidenzia la poca comunicabilità tra piemontesi e romani:
" Eravamo al momento in cui i pellegrini dovevano darsi lo scambio. Io credo che quel bravo piemontese si trovasse in peggior impiccio qui, che alla battaglia di San Martino o della Madonna della scoperta a cui al certo era stato presente. Egli intimò a quei di dentro di uscire per lasciar luogo a quei di fuori. Ma Si! ... Aspetta un poco... La calca rimane immobile, come nulla fosse. Il soldato alza la voce; minaccia; ma inutilmente. Quei romani, dalla voce sonora e 100 unità, si credevano certamente dispensati dall'intendere l'arabo o il cinese del loro fratello subalpino. Bisogno venire alle vie di fatto; e qualche spintone colla mano, qualche urto, peraltro moderatissimo, col calcio del fucile, valsero meglio delle parole. Quella folla immobile cominciò ad agitarsi, a formicolare, a realizzarsi, avvolgersi verso l'uscita, finché lentamente la santa cella rimase sgombra.
Qui sta il Busillis pel povero soldato! Come aprire il cancello che difendeva l'ingresso, sotto l'incubo un'altra folla che strapiomba, che minaccia di rovinare tutta d'un pezzo entro la cella, seppellendo, se fa d'uopo, il povero guardiano?
-Indietro!Adagio!C'è tempo!-esclamava il poveraccio.-Così non potete entrare!...
Ma si! Insegnare la logica alla folla...Infine, non so come, il cancello s'apri. Io vidi come un vortice di teste, ti spalle, di braccia, di gambe, una specie di torrente umano, ti rovinava attraverso la porticina. La sentinella era tutta sudata, trafelata… Ma era salva!"
Altre testimonianze illustri sottolineano la calca in Santa casa e le espressioni di devozione dei fedeli, non sempre controllate. Ne spigoliamo una fra tante, quella di Josemaria Escrivá de Belanguer, il noto fondatore dell'opus dei, sacerdote di alto spicco, molto devoto della Madonna.
Fu a Loreto il 15 agosto 1951 e ottenne di celebrare in Santa casa, nonostante la festività dell'assunta. Scrive:
"Non avevo pensato che un giorno di festa così solenne avrebbe richiamato dai dintorni un gran numero di persone che portavano con se la fede benedetta di quella terra che tanto amore alla Madonna. La loro pietà li spingeva a manifestazioni non del tutto appropriate, se si considerano le cose-come dire?-Soltanto dal punto di vista delle leggi irrituali della Chiesa. Infatti, quando baciavo l'altare, secondo le prescrizioni del messale, tre o quattro donne lo baciavano con me. Ero distratto ma commosso ".
Non occorre neppure osservare che l'angustia della Santa casa e la vivissima devozione che essa suscita nei fedeli sono la causa di questo fenomeno della calca, abituale e inevitabile ieri come oggi.
Il toccamento e il bacio delle "sante pietre"
È il gesto dei pellegrini, il più semplice, più spontaneo e- se si vuole -il più scontato, ma pur sempre toccante, perché suggerito da una sincera devozione verso i muri-reliquia del sacello nazaretano.
L'uso risale a tempi remoti e non definibili. Si trova registrato in testimonianze degli inizi del secolo XVI.Jacques La Saige , Pellegrino a Loreto nei giorni 9-12 maggio 1518, ha lasciato scritto:
"io credo che il Benedetto Gesù, quando imparò a camminare, si appoggiava al muro della detta casa. Noi vi abbiamo toccato nel frattempo le nostre corone di Rosario ".
Il poeta LorenzoFrizolio, nel 1578, in una sua ode latina, preso da empito lirico e mistico a un tempo, immaginandosi dentro la Santa casa E ripensando agli eventi salvifici ivi compiuti sì, esclama:
Quali baci imprimer ho sulle pietre,
E su quali pietre?
Ma il rito era frequente. Lo attesta il solito Torsellini, che nelle 15 97 scriveva:
" Tutti fissano attentamente l'altare degli apostoli, il benedetto armadio, la porta chiusa e il benedetto camino. E mentre vanno ripensando a qualche azione che compì la beatissima vergine in quei posti, non vorrebbero porre fine a guardare e a baciare, se l'ardore di moltissimi, che hanno lo stesso desiderio, non lo impedisse loro".
Anche San Francesco di Sales S, nel suo pellegrinaggio a Loreto delle 15 99 esprime una simile venerazione verso le mura della Santa casa, come scrive il suo nipote Charles-Auguste de Sales:
"Umilmente prosterna nato in ginocchio, e gli bacia questa terra Santa e queste sacre mura ".
L'uso di baciare e toccare le pietre e vivo ancora oggi. Scrive Chiara Lubich-la quale il 18 maggio 1939 ebbe in Santa casa l'ispirazione ad avvita al movimento dei focolari-che in quell'occasione " con venerazione toccava quelle pietre e quelle assi ".
Uno sguardo, anche se superficiale, alle pietre della Santa casa rivela il continuo ripetersi di un simile rito: esse sono consumate, non solo dallo finirono delle mani, ma anche dai baci. Qualcuno dei singolari graffiti incisi sulle " Sante pietre ", giudicati dagli esperti di origine giudeo-cristiana, stanno a testimoniare, nella loro lucida convinzione, la serie infinita dei baci impressi dai devoti.
Asportazione di pietre e frammenti
Un altro costume, diffuso soprattutto nel passato, era quello di asportare pietre o frammenti di calce, nonostante il severi divieti e crisi astici, che prevedevano in simili casi perfino la scomunica.
Il Torsellini riferisce una copiosa serie di episodi in proposito. Nelle 1561 il portoghese Giovanni Suarez, vescovo di Coimbra, mentre era al concilio di Trento, ottenne da Pio IV l'autorizzazione di asportare una pietra della Santa casa per collocarla in una chiesa della sua diocesi, edificata sul modello della sacello lauretano. Diede l'incarico per l'operazione al sacerdote aretino Francesco stella, il quale, dopo l'esecuzione del mandato, subì vari incidenti nel suo viaggio verso Trento. Il vescovo fu poi assalito da terribile febbre e, dietro consiglio di una monaca rispedì la pietra al Loreto, la quale oggi si scorge a destra dell'altare della Santa casa, incapsulata in una/di ferro. Nella credenza, a sinistra dello stesso altare, si conserva copia della lettera che attesta il fatto.
Un episodio simile si narra di un vescovo tedesco, che, nel 15 57, avendo accettato una pietra asportata dalla Santa casa da un suo connazionale, forse un soldato, per collocarla in una chiesa o cappella dai ficcare, cadde gravemente ammalato e guarì solo dopo aver restituito la reliquia al santuario loretano. La pietra ora si osserva nella parete nord della Santa casa, circoscritta da segmento metallico.
Non solo i vescovi, ma anche i semplici pellegrini amavano provvedersi di reliquie delle sacre mura. Nelle 1559 un signore restituì al santuario una pietra rubata molti anni prima, dopo aver perduto figli e beni ed essersi seriamente ammalato.
Una donna marchigiana. Via una pietra, convinta di poter vincere così la propria sterilità, ma assentitasi inspiegabilmente male, su consiglio di un sacerdote, la restituiti al santuario.
Alcuni pellegrini " Schiavoni " presero furtivamente una pietra e la nascosero nella loro nave tra il grano acquistato nelle Marche, ma una tempesta Convolgente li costrinse a riportare la reliquia a Loreto.
Nel 1585 fu restituita solennemente al santuario una pietra che 20 anni prima un palermitano aveva sottratto in Santa casa. Fu presa in consegna dallo stesso governatore di Loreto che la riportò nel sacello, dove i presenti notarono con stupore il rispettivo luogo sul muro, arrestato vuoto.
Il Torsellini riferisce anche episodi di pellegrini che asportarono dalla Santa cappella " pezzetti di calce ", costretti poi a restituirli per il sopraggiungere di strani malori. Era accaduto, ad esempio, ad una persona di Alessandria e a due sacerdoti.
Lo storico annota: " vari esempi ritrovo di molti, i quali, avendo tentato la stessa cosa, ben presto riportarono il dovuto castigo della loro temerità, fino a quando, arresi e tutti dal male, restituivano quello che avevano tolto ".
Proprio nello scorcio di un tempo in cui scrive il Torsellini (1597), Tra la fine delle 500 e gli inizi del seicento, le alterità del santuario elaborare un progetto-inattuato-per proteggere le mura della Santa casa con pannelli di bronzo intercalati da spazi vuoti che consentivano di intravedere le pietre. Il progetto, per quanto artisticamente immaginato, aveva carattere essenzialmente funzionale, perché tendeva appunto a difendere l'integrità fisica del sacello. Lo lasciava intendere chiaramente la scritta che illustra quell'ipotesi progettuale: " questi cancelli eviteranno molte scomuniche papali et altri sacrilegi, nelle quali cascano ogni anno tanti che li robano et con la loro stolta et impia rivoluzione violalo questo tremendo loco ".
I penitenziere sapevano bene " come spesso molti per la loro temerarietà et stolta divozione restano bene spesso molto bene flagellati, o per sempre, o fintanto che riprendono le sacre reliquie, le quali anche quando sono rese non si possono restituire nelle loro propri luoghi ed così sì perdono".
Il costume si è protratto per secoli, fino ai giorni nostri. Nella vita di San Gabriele dell'Addolorata si legge che egli, nel suo pellegrinaggio a Loreto del sette-8 settembre 1856, usò portar via dalla Santa casa un calcinacci, staccandolo di propria mano, e che il custode lo costrinse a restituirlo.
Anche Santa Teresa del Bambin Gesù, pellegrina Loreto il 13 novembre 1887, ebbe la tentazione di " grattare furtivamente i muri santificati della presenza divina ".
In tempi recenti, P. Arsenio d'Ascoli riferisce che un uomo gli consegnò un pezzo di cemento, dicendogli: " è un anno che non ho pace. La madonna mia punito. Punto. Lo riporti alla Madonna, padre ". Talvolta perviene al santuario qualche plico con dentro un frammento di calcinaccio O di pietra della Santa casa e uno scritto che spiega come esso sia stato asportato e poi restituito per disagi sopravvenuti. I custodi della Santa casa segnarono spesso tentativi di pellegrini diretti all'asportazione di parti di pietre o di cemento della Santa casa.
Talvolta i pellegrini, pentiti, si presentavano-o si presentano-agli stessi custodi riconsegni premiando le piccole reliquie sottratte. I custodi prendono i frammenti e ricollocano vicino alla scodella detta di Gesù per reinserirmi poi nelle pareti, quando vi si aggiunge un nuovo cemento per suturare i piccoli fori procurati dei pellegrini che con chiodi o temperini tentano di appropriarsi, appunto, di qualche briciola del devoto sacello.
senza voler escludere a priori la veridicità di quanto la documentazione riferisce sui malanni occorsi ai trafugatori di pietre e di frammenti della Santa casa, sembrerebbe di cogliervi, però, la legittima preoccupazione delle autorità per l'integrità edilizia del piccolo sacello, da rispettare a ogni costo, pena la sua definitiva dispersione.
I mali avvertiti dai trafugatori, oltre che come segni ammonitori dall'alto, possono essere spiegati anche con il disagio psicologico di chi, sacrilegamente, allunga la mano su una cosa santa e contravviene precise disposizioni.
Comunque sia, il fenomeno si iscrive nel costume dei pellegrini antichi e contemporanei. Per restare nell'ambito della Santa casa, si può notare che episodi analoghi si verificano a Nazareth.
Giacomo da Verona ad esempio, pellegrino a Nazaret nel 1335, informa: " nella grotta della vergine si trova un altare e vicino un'altra piccola Volta, dove stava la vergine Maria a pregare e dalla roccia di quel luogo io ho preso qualcosa ". Riferisce anche che non poté asportare nulla da una colonna, ivi posta, " perché la pietra è durissima ".
Lo osservava nel 1347 anche Nicolò da Poggibonsi con queste parole: " La colonna si è di color bigio; sappi che ella è durissima, che niente se ne puote avere ".
Ottavio via Asmara, in uno scritto del primo trentennio del secolo 16º, annota che tra le reliquie della propria area, Margherita giullari, si conservava " una particella del cemento delle fondamenta Nazaretane" della Santa casa, cemento ritenuto da lui identico a quello delle mura del sacello lo Reitano.
Si tratta, dunque, di un costume antico e diffuso, che al Loreto registra manifestazioni più frequenti e, se si vuole, più significative.
La "credenza della Madonna" e le "sante scodelle"
Nella parete sud della Santa casa esiste un piccolo vano, all'atto dell'altare, dove ora si collocano le ampolline. L'immaginazione popolare lo identificava nel passato con la " credenza ", dove la Madonna avrebbe riposto le vivande e le stoviglie domestiche.
Già nel 1518 Jacques La Saige osservava che un canonico mostrò all'lui e ad altri pellegrini il luogo " dove la vergine Maria riponeva la carne ".
Il Bartoli nel 16 86 parlava anche del " Santo armadio ", annotando:
Vendesi situato nella muraglia al lato destro dell'altare con porta di argento Donata dalle duca di Parma. In esso, per tradizione de' santi dottori, si vuole che la beatissima vergine per essere custodita la sua Bibbia, e di poi se ne fossero serviti gli apostoli per tabernacolo da riporre il divino sacramento.Hora[...] in esso si conservano i sacri vasi ".
L'autore descrive anche il " santo cammino ", ricavato nella parete orientale e, quindi, sicuramente spurio. Annota:
" E vi il santo canino, in cui è probabile ( conforme asseriscono gli storici, particolarmente bello denota il Briganti) Che la beatissima vergine fosse solita far fuoco, preparare le povere vivande, e servirsene per altre occorrenze e bisogni ".
Pellegrini osservavano con ammirazione tutte queste parti della Santa casa, compreso l'altare degli apostoli, i quali, secondo una fantasiosa versione, lo avrebbero eretto a Nazaret e vi avrebbero celebrato.
Un altro minuscolo vano, sulla parete sud, a sinistra della porta di entrata, accoglie un'antica acquasantiera, dalle rudi forme. Fino agli sia in questo secolo vi si conservava l'acqua santa, ma il pellegrini, per devozione, non solo la asportavano, ma vi si lavavano le mani e viso e la bevevano perfino. Per ragioni igieniche allora le autorità del Santuario disposero che non vi si collocasse più acqua benedetta.
Forse a questa acquasantiera si riferiva Jacques La Saige , Quando nelle 15 18 scriveva che un canonico dimostrò " un piccolo lavabo "-simile a quelli usati nelle chiese dei sacerdoti-nel quale " la bella signora lavava le sue mani ".
Nell'armadio collocato a lato sinistro dell'altare, chiuso da una griglia metallica, si conservano ora due pazze giudicate di matrice Monza arabica.
Secondo del relazioni, i pellegrini pensavano che " se ne servisse la vergine mentre mangiava con il Gesù e San Giuseppe ".
Per questa via convinzione dei fedeli, si era dato vita a un curioso costume. Assicura Tommaso barbaro, nel 17 39: " queste scodelle Siri Piero d'acqua, colla quale si stempera la farina e si fa il pane benedetto che si distribuisce per devozione al Pellegrini ".
La scodella che riscuoteva maggior devozione era, però, quella ditta di Gesù bambino. Prima dell'incendio, scoppiato in Santa casa nel 19 21, veniva custodita in un cestello d'oro, finemente lavorato, attribuito addirittura a benvenuto Cellini o alla sua scuola. L'incendio fuse l'involucro di metallo prezioso e incrinò in più parti la scodella, la quale, dopo un primo rabberciamento, fu restaurata nel 19 64 a cura della soprintendenza alle antichità di Ancona.
Il civili nelle 19 22 provvidi a sostituire il cestello attribuito alle Cellini con altra custodia di argento brunito, approntando disegnii raffiguranti l'annunciazione e Natale di Gesù.
La scodella di terracotta invisa, con diametro alla bocca di centimetri 17,6, recante tracce di interlineatura, viene assegnata dagli studiosi al primo secolo avanti Cristo o al primo secolo dopo Cristo. Il Nogara afferma che sia addirittura del periodo erodiano imperiale. Ora la scodella si conserva-chiusa-nell'angolo destro del santo cammino.
Il Bartoli, nelle 16 86, al riguardo di questa scodella, scriveva: " si mostra ogni sera, sulle 22 ore, fedeli, nella detta scodella si toccano per devozione le medaglie, corone, croci e cose simili, e se sperimenta che, bevendo con la fede acquasanta passata per essa, se ne riceve giovamento e salute".
Il Murri aggiunge che " esitava a baciare ai devoti ".
Anche Santa Teresa di Lisieux , Nel suo pellegrinaggio a Loreto del 13 novembre 18 87, ripeté questa deduzione: " ho deposto-scrive-la mia corona del rosario nella con la scodella di Gesù bambino ".
Stando a una relazione redatta il 25 luglio 16 04, durante i lavori della ristrutturazione del soffitto della Santa casa e della messa in opera delle relativo rivestimento marmoreo 15 34 C., Furono ritrovati " sul muro alquanto vacuo murati diversi vasi, piatti, scodelle e catini". Uno, restituito da un muratore di porto Recanati, che aveva partecipato quei lavori, presi in consegna dai padri gesuiti del palazzo illirico di Loreto. In esso gli infermi bevevano l'acqua con devozione riportandone " il giovamento ".
C'è chi pensa che questa sorella barra identificata con quella ditta di Gesù bambino e che, quindi, la devozione verso di essa risalga ai primi anni del secolo 18º.
La “ polvere” della S. Casa
Nelle antiche cronache dei frati cappuccini di Loreto si legge che, a partire dal sec. XVII, i fratelli laici, fra gli altri compiti, avevano anche il seguente: “nel dopo vespro era loro ufficio scopare, in ginocchio e pregando, la Sagra Cappella, raccoglierne diligentemente la polvere e conservarla per distribuirla ai pellegrini”.
L'uso divenne frequente con il tempo. Il padre Grimaldi ha pubblicato numerosi esemplari di immagini e di oggetti, con varie raffigurazioni loretane, nei quali veniva collocata “la polvere delle sante mura di S. Caqsa di Loreto”.
Un paio di codesti esemplari sembrano risalire al sec. XVII, mentre gli altri si riferiscono ai secoli XVIII e XIX. Solo qu8alcuno è del sec. XX.
Talvolta i cappuccini concedevano a personaggi illustri di spazzare in ginocchio la S. Casa e di raccoglierne la polvere. Accadde a suor Florida dei conti Cevoli di Pisa, nel suo pellegrinaggio a Loreto del 1703, fatto alla vigilia del suo ingresso al monastero delle cappuccine di Città di Castello.
Altrettanto si legge di cinque suore dell'Istituto della Visitazione, guidate da suor Maria Teresa David, le quali, nel 1772, prima di prender possesso del loro nuovo monastero di Offagna, insieme col vescovo di Osimo e Cingoli Pompeo Compagnoni fecero visita al santuario di Loreto ed ebbero dai cappuccini il privilegio di spazzare in ginocchio la S. Casa.
E' da aggiungere che la polvere veniva anche raccolta il venerdì santo dalle pareti della S. Casa, quando queste venivano scrupolosamente ripulite con apposite spazzole.
Oggi l'uso è scomparso o, meglio, è stato aggiornato. Infatti, ai pellegrini, soprattutto statunitensi, si rilascia polvere grattugiata da pietre o mattoni ricavati, durante gli scavi archeologici del 1962-65, dal sottosuolo della S. Casa o dal suo antico muro protettivo, detto dei recanatesi (sec. XIV).
L'antico costume in qualche modo placava il desiderio di molti pellegrini, che erano tentati spesso di asportare frammenti dalle pareti della S. Casa. Lo rileva la stessa ricorrente scritta posta nei contenitori dell'umile residuo: “polvere delle Sante Mura”.
L'olio delle lampade
A sostituire completamente l'uso della polvere è stato l'olio delle lampade della S. Casa, oggi assai diffuso.
Il vescovo Gaetano Malchiodi scrive: “Da documenti antichissimi apprendiamo che sempre nel corso dei secoli della permanenza della S. Casa tra noi, con le unzioni fatte con l'olio delle lampade dell'abitazione della Vergine, si ottennero guarigioni di mali inveterati, pericolosi e mortali”.
In effetti, però, la pia pratica di usare l'olio della S. Casa per gli ammalati si propagò solo intorno al 1940, quando Anna Capasso delle Pastene, a 53 anni, ne ottenne effetti prodigiosi con il lento ma progressivo allungamento della gamba sinistra, congenitamente assai più corta dell'altra.
Narra l'interessata che, dopo aver avuto un primo segno di protezione dalla Vergine Lauretana, tornata a Loreto il 6 giugno 1939, si confidò con il custode della S. Casa, che era p. Remigio da Cavedine: “Udendo ciò, quel buon padre cappuccino volle consegnarmi un po' di quell'olio che arde nelle lampade dell'interno della S. Casa e mi suggerì di ungere con esso il ginocchio della mia gamba più corta”.
Il miracolo ottenuto – definito dal Paleani “un fenomeno biologico che avviene fuori delle comuni nozioni, possibilità e accertamenti medici e scientifici” - destò grande supore e indusse altri infermi a usare l'olio delle lampade.
I cappuccini se ne fecero promotori e diffusori. P. Sebastiano da Potenza Picena, rettore del santuario dal 1946 al 1949, raccomandò la pratica attraverso appositi dèpliants, distribuiti in gran parte ai pellegrini, mentre la rivista del santuario continuamente segnalava – e ancora oggi segnala – grazie ottenute con l'unzione delle parti malate del corpo a mezzo dell' “olio della Madonna”.
In tal modo, messo a lato l'uso della distribuzione della polvere, meno comprensibile e meno accetto ai nostri tempi, si introduceva un costume più igienico e più rispondente alla devozione dei nuovi pellegrini. E ci si sintonizzava, su un diverso registro, con quanto avveniva a Lourdes a mezzo dell'acqua della Grotta.
Annotava in proposito il vescovo Malchiodi: “A Lourdes la Madonna ha fatto scaturire l'acqua dalla piscina, portentoso mezzo di grazie, di benedizioni; a Loreto essa ha ispirato gli uomini a servirsi dell'olio”.
E, come per l'acqua di Lourdes, così per l'olio vengono adoperate minuscole bottigliette recanti impressa l'immagine della Vergine Lauretana. Esse vengono distribuite dai custode della S. Casa, come avveniva per le bustine di polvere.
La “veste” e la “reliquia del velo” della Madonna
La fantasia popolare aveva identificato la veste indossata dalla Madonna con un usuale indumento di lana conservato gelosamente in S. Casa.
Cosi lo descriveva il Bartoli nel 1686:
“la statua non portò di Dalmazia o di Galilea ornamento veruno, solo avea una semplice veste sopra l'altra di legno, simile al ciambellotto di colore di rose secche, la quale ora si custodisce in Santa Cappella con venerazione grande dentro d'una cassetta d'argento, donata dal car. Montalto”.
La veste fu trafugata dai francesi nel febbraio 1797 insieme con la preziosa urna che la conteneva. Si legge che in quell'occasione don Giuseppe Taroni, simpatizzante delle idee giacobine e “collaborazionista” dei francesi invasori, definì con scherno quella veste, certamente spuria: “la straccetta”.
Esiste un'antica stampa del trafugamento napoleonico raffigurante la statua della Verginie Lauretana con la dalmatica e, alla sua sinistra, in una sezione a parte, questo indumento, con una scritta in francese che dice: “antica veste di cammellotto di lana nera, che si dice abbia servito alla Vergine”.
La veste veniva esposta in venerazione quando calamità pubbliche o seri pericoli incombevano sulla città di Loreto e sulla Chiesa. E' scritto anche che la veste di lana veniva fatta baciare a qualche pellegrino illustre. Nel 1772 il vescovo Vecchioni la offrì al bacio delle cinque suore vivitandine, sopra ricordate, dirette a Offagna.
Ha relazione con la “veste” della Madonna il costume di rilasciare ai pellegrini, per ricordo, la reliquia di un velo che si poneva un tempo sulla statua della Madonna, il giovedì e il venerdì santo, e veniva messo a contatto, appunto, anche con quella “veste”.
La pia usanza di distribuire la reliquia del velo è ancora in vigore, ma oggi, per le mutate disposizioni liturgiche, il simulacro, liberato dalla dalmatica, viene rivestito dal velo nero la sera del venerdì santo.
Esistono nell'Archivio storico del santuario numerosi esemplari di stampe raffiguranti vari soggetti della Vergine Lauretana con una particella di velo incollata sul davanti. Recano tutti l'attestazione di autenticità della reliquia da parte del custode della S. Casa. Il padre Grimaldi ha pubblicato diversi di questi esemplari.
L'Attestazione nel secolo XVIII, fino al 1797, quando fu depredata la “veste” della Madonna, suonava in genere così:
“Attesto io sottoscritto Custode della Santa Casa di Loreto che il velo nero sigillato, ed annesso a questa mia, sia stato indosso alla Sagra Statua Giovedì e Venerdì Santo, e poi toccato alla Santa Veste ed alla Santa Scodella della Beatissima Vergine, che si conserva in questa Santa Casa. In fede, etc. Dato in Loreto dalla Custodia questo dì...”
Talvolta veniva attestato che la particella del velo era stata accostata anche alle “Sante Mura”.
Il più antico esemplare settecentesco pubblicato risale al 1726.
Nel sec. XIX l'Attestazione restò pressoché inalterata, ma venne tolto il riferimento al contatto con la “Santa Veste”, scomparsa durante il trafugamento napoleonico.
Il formato dell'immagine ha subito notevoli variazioni nel tempo. Nei secoli XVIII-XIX si hanno fogli perfino di mm. 440 x 320. Oggi vige il formato immaginetta, assai ridotto, la quale viene distribuita anche nella Congregazione Universale della S. Casa con una preghiera nel verso, scritta nelle principali lingue europee.
Stando alle cronache cappuccine, l'uso di distribuire ai fedeli la reliquia del velo della Madonna dovrebbe risalire al sec. XVII, perché i frati dovevano preparare anche delle “piccole ostie che sogliono adoperarsi per unire il velo della B. Vergine alla sua immagine per sigillare le carte contenenti le polveri della S. Casa, e che i pellegrini avidamente desiderano come preziosa nenoria del loro pellegrinaggio”.
Si trattava e si tratta in sostanza di consegnare ai fedeli una serie innumerevole di reliquie, tali solo “per contatto”, quale segno della protezione della Vergine Lauretana ed, esattamente, quale “memoria” del pellegrinaggio.
Le campanelle “scacciatempesta” e le cuffiette
Agli oggetti conservati in S. Casa si ricollegano, a mio avviso, anche le campanelle benedette, che fino ai nostri tempi venivano acquistate a Loreto dai pellegrini.
L'uso – ancora debolmente vivo – più che in Italia era diffuso in alcuni paesi europei, come la Francia, L'Australia, la Germania e la Polonia. Si attribuiva alla campanella una virtù singolare, per intercessione della Vergine Lauretana, contro le tempeste e la grandine, ed anche contro gli incendi.
Negli Annali della S. Casa del 1917 viene riportata una lettera di una signora francese, certa Margherita Mannebach, che riferisce un episodio accaduto in Germania a un suo fratello. Questi, vedendo che la vasta abitazione dei suoi vicini era in preda a un violento incendio e temendo per la propria, si munì di molti secchi d'acqua e di una campanella di Loreto, regalatagli dalla sorella che laa aveva acquistata l'anno precedente al santuario della S. Casa.
“Si portò fino al terzo piano, si inginocchiò e, domandando di tutto cuore la protezione della Madonna di Loreto, si mise a suonare la piccola campanella senza darsi tregua”. Il “soccorso – scrive Margherita – arrivò”.
L'oggetto però veniva usato soprattutto per allontanare le tempeste e la grandine. Mi è stato riferito da una suora della S. Famiglia di Nazareth che in Polonia, ancora oggi, alla minaccia di qualche temporale, la campanella viene suonata in casa, di stanza in stanza, mentre si invoca la protezione della Madonna di Loreto.
L'autore di una nota redazionale dei citati Annali della S. Casa del 1917, nell'introdurre la lettera di Margherita Mannebach, avanza questa ipotesi:. “la pia credenza avrà origine dal fatto che qui, in Loreto, ai primi sentori di qualche tempesta, è volere e tradizione del popolo che si suoni a stormo la così detta 'Campana della Madonna', perché la grandine sia allontanata”.
A mio parere però l'uso è stato mutuato fin dal secolo XVII da due piccole campane conservate in S. Casa. Il Bartoli nel 1686 ricordava “due campanelle, venute in piccolo campanile sopra la Santa Casa, le quali si tengono e si conservano al lato del Santo Camino, e si suonano solamente in occasione che torbidissimo tempo minaccia tempesta, o folgori, de' quali provasi allora la dispersione e la liberazione”.
Questa “virtù” delle piccole campane della S. Casa viene come trasferita alle altre campanelle che, secondo laa a citata nota redazionale degli Annali, venivano benedette in S. Casa e passate sulla scodella della Madonna.
La stessa nota informa: “i pellegrini che vengono a Loreto, si provvedono, quali sempre, di una o più campanelle, alla cui sommità attaccano un nastro color celeste che chiudono, ai capi, con apposito spillo”.
Il sigillo dei custodi della S. Casa costituiva come l'autenticazione che l'oggetto proveniva da Loreto ed era stato benedetto in S. Casa.
Il padre Grimaldi informa che queste campanelle votive erano di diversa grandezza e che le più antiche erano, in genere, di ottone.
Domenico Cleri fu il primo a essere autorizzato a fabbricare questi oggetti devozionali a Loreto, con chirografo di Clemente XIII del 24 marzo 1764. Prima di quell'anno i rivenditori si rifornivano di campanelle importandole da Norimberga.
L'uso di acquistare le campanelle a Loreto vanta un esempio illustre, Wolfang Mozart il 21 luglio 1770 scriveva alla mamma, per l'onomastico, da Bologna, dopo la sua visita al santuario lauretano, e le inviava in dono “alcuni campanelli e cuffiette e bende di Loreto”.
La stessa devozione alla Vergine di Loreto, invocata anche come “Madonna della Casa”, può aver favorito questo amabile costume, diretto a invocare la sua protezione sul focolare domestico contro le tempeste e altri pericoli.
Wolfang Mozart ricorda un altro caratteristico uso dei pellegrini: quello di acquistare cuffiette di stoffa che spesso recavano l'immagine della Madonna Lauretana. L'uso, oltre che a Loreto, era diffuso anche in altri santuari.
La cuffietta, che veniva posta a contatto con l'immagine della Madonna, era collocata sul capo dei bambini malati o anche di persone adulte. Si dava anche il caso che venisse usata per benedire gli infermi.