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Cammino Lauretano

Cammino Lauretano

LA SANTA CASA 

“In quel loco fu' io Pietro Damiano,

e Pietro Peccator fu' ne la casa

di Nostra Donna in sul lito adriano”

(DANTE ALIGHIERI - Paradiso, XXI-123)

"La Santa Casa di Loreto è il primo Santuario di portata internazionale dedicato alla Vergine e vero cuore mariano della cristianità"

(Giovanni Paolo II)

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Murate tra le pietre della Santa Casa sono state trovate cinque croci di stoffa rossa di crociati o, più probabilmente, di cavalieri di un ordine militare che nel medioevo difendevano i luoghi santi e le reliquie.

La S. Casa, nel suo nucleo originario, è costituita da sole tre pareti, perché la parte dove sorge l'altare dava, a Nazaret, sulla bocca della Grotta e, quindi, non esisteva come muro. Delle tre pareti originarie le sezioni inferiori, per quasi tre metri di altezza, sono costituite prevalentemente da filari di pietre, per lo più arenarie, rintracciabili a Nazaret, e le sezioni superiori aggiunte successivamente e, quindi spurie, sono in mattoni locali, gli unici materiali edilizi usati nella zona.


Alcune pietre risultano rifinite esternamente con tecnica che richiama quella dei nabatei, diffusa in Palestina e anche in Galilea fino ai tempi di Gesù. Vi sono stati individuati una sessantina di graffiti, molti dei quali giudicati dagli esperti riferibili a quelli giudeo-cristiani di epoca remota, esistenti in Terra Santa, compresa Nazaret. Le sezioni superiori delle pareti, di minor valore storico e devozionale, nel secolo XIV furono coperte da dipinti a fresco, mentre le sottostanti sezioni in pietra furono lasciate a vista, esposte alla venerazione dei fedeli.


FONTE: http://www.santuarioloreto.it/

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La dimora terrena di Maria a Nazareth era costituita da due parti: da una Grotta scavata nella roccia, tuttora venerata nella basilica dell'Annunciazione a Nazareth, e da una camera in muratura antistante, composta da tre pareti di pietre poste a chiusura della grotta.

Gli scavi archeologici sotto la Santa Casa

Nel 1962 l’arcivescovo Primo Principi, amministratore pontificio del santuario di Loreto, autorizzava il professore Nereo Alfieri, ordinario di archeologia all’Università di Bologna, a intraprendere gli scavi archeologici nel sottosuolo della Santa Casa, con la collaborazione, per la ricerca archivistica, di p. Floriano Grimaldi e, per l’indagine geologica, di Edmondo Forlani.

I lavori furono portati a termine nel 1965 e i risultati furono illustrati in una pubblicazione del 1967 (Contributi archeologici per la storia della Santa Casa di Loreto).

Gli scavi hanno costituito una svolta decisiva negli studi sull’autenticità della Santa Casa.

Essi, infatti - integrati successivamente dalle indagini di carattere edilizio sulla struttura della Santa Casa e sulla finitura in stile nabateo delle sue pietre e dall’individuazione sulle stesse di numerosi graffiti di origine giudeo-cristiana - hanno spostato l’asse della ricerca sulle cosiddette «fonti mute», oggettive e constatabili, mettendo a lato le fonti letterarie, tardive e inficiate da elementi leggendari. In tal modo, la tradizione - fonte orale - della Traslazione della Santa Casa da Nazaret a Loreto ha riacquistato fondamento.

Infatti, le indagini archeologiche hanno confermato quanto la tradizione aveva tramandato sulla mancanza di fondamenta proprie e sulla collocazione sopra una pubblica strada del sacello nazaretano, verificando in più una gelosa cura nei riguardi della reliquia da parte dei recanatesi, i quali subito, all’inizio, l’hanno protetta sul cedevole greppo nord con una sofisticata e difficile operazione edilizia, consistente nella costruzione di archetti di controripa, a sostegno dell’edificio-reliquia, e l’hanno resa più sicura con una sottofascia di murazione, inserita dall’esterno, la quale finiva per sostituire la mancanza di fondamenta proprie della Santa Casa, rendendola più solida. Questi lavori sono definiti «prerecanatesi», perché precedono di qualche anno quelli detti «recanatesi», consistenti nella costruzione di un muro intorno alla Santa Casa, detto dal Teramano (1472 circa) «bono grosso», capace di proteggerla dalle intemperie e dagli agenti esogeni.

Scrivono gli autori delle indagini, a conclusione della loro relazione: «In quanto alla natura e al significato della devozione, l’esame archeologico è assai chiaro. Nella fase dei lavori “pre-recanatesi” e “recanatesi” domina un senso archeologico ante litteram, un impegno di rispetto e di conservazione che sarebbero inspiegabili e anacronistici se non intervenisse la tradizione a dirci che si voleva appunto conservare quelle rustiche pareti».

È stato osservato da altri che, se il sacello non fosse stato ritenuto con certezza una reliquia preziosa di Terra Santa, tutte le impegnative operazioni edilizie per conservarlo sarebbero illogiche. Infatti, se la devozione fosse andata alla sola immagine - come vuole qualcuno - sarebbe stato più agevole e logico ricostruire un edificio sacro altrove, architettonicamente più ampio e decoroso, ed esporvi alla venerazione l’immagine sacra.

In conclusione, i risultati dell’archeologia, le indagini edilizie e l’individuazione di numerosi graffiti sulle pietre della Santa Casa, sostenuti da laconici ma significativi indizi documentali coevi alla Traslazione (1291-1294), hanno permesso di rinnovare il discorso critico-storico sull’autenticità della Santa Casa con proposte interpretative solide e ragionevoli.

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